Nella vita sono stato fortunato, molto. Anche come giornalista. Ho potuto fare cose bellissime. Ma se dovessi dire oggi qual è stata la più bella, quella che mi ha più emozionato, la più improbabile, difficile, epica quasi, oggi direi: l’Italia chiamò, la maratona di 18 ore su YouTube all’inizio della pandemia, il 13 marzo 2020.
Non so se vi ricordate l’Italia chiamò, se anche se siete stati fra i milioni di italiani che ci hanno seguito per un po’ (sì, milioni: alla fine conteremo più di venti milioni di contatti). Ma certamente vi ricordate il clima surreale di quei primissimi giorni di lockdown totale. L’idea di “fare qualcosa” ci era venuta 5 giorni prima, era di domenica, e stavano iniziando a chiudere tutto. "Facciamo una maratona online", ci eravamo detti con qualche amico, raccogliamo fondi per la Protezione Civile e uniamo il Paese attraverso la Rete. Il tutto da fare in 5 giorni e senza budget. Una follia. Orgamnizzarla, mentre il presidente del Consiglio con i primi Dpcm chiudeva ogni giorno un pezzetto d'Italia, fu una cosa tipo Blues Brothers.
Per l’occasione si mobilitarono una decina di persone che con me avevano condiviso progetti negli ultimi anni: Paolo Iabichino, che avevo conosciuto con Wired, si incaricò del nome e dell’immagine; Ernesto Belisario degli aspetti legali; Oscar Badoino del sito; Angela Creta e Eugenio Damasio si occuparono dei social, il gruppo di Gianluca Comin si mise a disposizione per fare ufficio stampa; Ernesto Assante, Gabriele Fazio, Laura Delli Colli e Marino Sinibaldi mi aiutarono a mobilitare il mondo della cultura assieme al Mibact, il ministero di Franceschini, che ci aiutò dal primo minuto offrendosi di trasmettere l’evento in diretta sul suo canale YouTube; Valentina Boddi tenne assieme tutti i pezzi provando costruire una scaletta sensata.
C’era però un problema: non avevamo un posto da dove trasmettere, gli studi erano tutti chiusi, eravamo in lockdown pieno; e non avevamo neanche le persone per fare la regia, e i cameraman. Fu Ernesto Faraco ad aiutarci a trovare un capannone alle idrovore della Magliana dove montare un piccolo studio con telecamere remotate. E quando oramai avevamo perso le speranze per la regia, il giorno prima si offrì Alessandro Torraca (con il sostegno a distanza di Cristina Redini). Non c’è una persona tra quelle citate con cui non ci sia un affetto vero. Senza questi legami fatti di valori e passione, non ce l’avremmo mai fatta.
Inizialmente l’idea era di una staffetta di due ore fra conduttori diversi, ma in lockdown quasi tutti gli speaker si erano tirati indietro. Decisi di provare a fare tutto io. Alle 4 del mattino arrivai alla Magliana, alle 6 iniziammo la diretta. E fu una cosa irripetibile: intervennero tutti, da Arbore a Fiorello, da Jovanotti a Favino, per citarne solo quattro di un elenco interminabile. E ricevemmo migliaia di messaggi di italiani, anche all’estero, che stavano vivendo quella cosa con noi. La diretta durò 18 ore esatte. E io ero sempre lì, in studio, con il cuore gonfio di gioia e la voce che resisteva a fatica (ecco, avete capito perché gracchia un po’, i miei problemi iniziarono lì). Dopo le prime quattordici ore arrivò a darmi il cambio Ernesto Assante, che inventò il format della musica da cameretta: decine di cantanti si esibirono da casa come poi avrebbero fatto in tutto il mondo per mesi. Le ultime due ore tornai in diretta, al fianco della giovanissima Cecilia Sala: ai tempi non era ancora conosciutissima, ma era già la più brava giornalista della sua generazione. In questi giorni drammatici Cecilia Sala è in Ucraina, da dove produce un podcast bellissimo. Fu un gran finale. La più lunga maratona della storia del Web. Che fortuna averla vissuta.