È passato più o meno un anno da quando Mark Zuckerberg ha annunciato l’intenzione di cambiare nome e mission all’azienda, passando da Facebook a Meta. Questo ha avuto soprattutto due conseguenze: tutti abbiamo iniziato a usare questa parola, che prima praticamente non conoscevamo, e quasi tutti pensano che il metaverso coincida con l’idea che ne ha la società di Menlo Park. Solo che non è così.
Semplificando, quel che più o meno si sa è che il metaverso è un ambiente digitale generato da un computer che può coincidere con la realtà virtuale, aumentata o mista, in cui si entra attraverso un avatar. E che un po’ sfiora il mondo dei videogiochi. Di seguito, cerchiamo di capire il resto.

Che cos’è un metaverso
Un’ottima definizione è quella data da Matthew Ball, ex stratega di Amazon Studios e autore del libro The Metaverse, secondo cui “il metaverso è una rete interoperabile e su larga scala di mondi virtuali tridimensionali rappresentati in tempo reale, che può essere utilizzata in maniera sincrona e persistente da un numero illimitato di persone con una sensazione individuale di presenza e con continuità di dati”. La tridimensionalità non è una condizione irrinunciabile: qui i concetti fondamentali sono persistenza e sincronia (il metaverso è un mondo virtuale che non può essere spento, in cui le azioni hanno conseguenze e le interazioni fra gli utenti simulano la vita reale e sono fluide e senza ritardi) e anche quello del “numero illimitato di persone”, che possono partecipare allo stesso momento allo stesso evento e vivere una sensazione di effettiva presenza in quel luogo e in quel momento.
Quali e quanti sono i metaversi
A oggi sono oltre 40, i mondi virtuali in cui (secondo stime) vivono circa 350 milioni di persone. Si differenziano fra loro sulla base di alcuni parametri: eventuale tridimensionalità degli ambienti, necessità di un dispositivo dedicato per l’accesso, utilizzo o meno di una blockchain per codificare il funzionamento interno, impostazione più orientata al lavoro o al gioco. È importante notare anche un’altra, fondamentale differenza, quella fra realtà virtuale e aumentata: la prima viene ricreata al posto della realtà vera, e la vediamo attraverso un visore; la seconda viene in qualche modo sovraimpressa sulla realtà vera, e per percepirla basta uno smartphone.
Per entrare nel metaverso serve un visore?
No, non necessariamente: ce ne sono alcuni, come Spatial, cui chiunque può accedere attraverso un link e un browser, navigando da computer, da telefono o da tablet. Questi metaversi sono quelli che si stanno diffondendo più rapidamente proprio per questo: hanno minori barriere d’ingresso e non richiedono l’uso di un visore VR, che è ancora molto costoso e che ancora in pochi hanno. Quel che serve (ma non sempre) è un account, un profilo cui fare corrispondere il proprio avatar, il gemello digitale che ci rappresenta nel mondo virtuale: lo si può creare quando si accede, oppure si possono usare (per esempio) le credenziali dei social network. Che è quello che si può fare con Horizon Worlds (in questo modo), il metaverso di Meta.
Che cosa si può fare nel metaverso?
Più o meno tutto quello che si può fare nel mondo reale: si può assistere a un concerto (come su Fortnite, per esempio), si può lavorare in team ma da remoto, si possono esplorare altre città, si può socializzare con persone nuove e fisicamente distantissime da noi. E anche ci si può laureare, come lo scorso luglio ha fatto il 25enne Edoardo Di Pietro, che (primo al mondo) ha discusso la tesi sia nel campus Luigi Einaudi dell’Università di Torino sia in un’aula virtuale allestita dentro a Spatial.
Perché il metaverso di Zuckerberg è ancora così brutto?

Quando sarà disponibile per tutti?
Se ci si riferisce alla possibilità di entrare più o meno agevolmente in mondi virtuali, questo è già possibile e con una sufficiente varietà, come si vede. Se invece l’idea è quella di una nuova Internet che sostituirà (o più probabilmente affiancherà) quella attuale, è probabile che sarà necessaria un’altra decina d’anni. Serviranno soprattutto per risolvere problemi tecnici, come l’interoperabilità, cioè la possibilità di passare agevolmente da un metaverso all’altro, portando con sé il proprio avatar e i suoi oggetti, e una migliore resa grafica, visto che quella attuale lascia ancora (molto) a desiderare. Ma non c’è solo questo: ci sono anche questioni legali, per esempio per capire chi è responsabile di cosa nei mondi virtuali, a quali leggi rispondono, come tutelare le minoranze, come impedire discriminazioni, bullismo e violenza. Insomma: come renderli simili al mondo reale, ma magari anche un po’ meglio.