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Le aziende puntano su metaverso e Web 3, ma nessuno sa cosa siano

Le aziende puntano su metaverso e Web 3, ma nessuno sa cosa siano

Tre quarti delle imprese italiane puntano su queste nuove frontiere dell’innovazione digitale: la confusione però è ancora tanta

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Che una gran parte delle aziende stia scommettendo sul metaverso, o almeno lo stia studiando, non dovrebbe sorprendere. Negli ultimi 12 mesi, uno dei più grandi colossi digitali del pianeta – vale a dire Meta – si è infatti speso in ogni modo (investendo oltre 10 miliardi di dollari) per convincere imprenditori, professionisti e dipendenti che questo ambiente immersivo e digitale, in cui dovremmo trasferire una parte crescente della nostra quotidianità, fosse il futuro.

Il metaverso non è però l’unica grande prospettiva tecnologica a ricevere grande attenzione e ancor più investimenti: a esso si associa infatti il web3, la terza incarnazione della rete basata su blockchain e criptovalute, che promette superare l’attuale web 2.0 dominato dai social network. Prima di chiarirci le idee su cosa davvero rappresentino queste innovazioni, è interessante vedere in che modo le imprese italiane si stiano avvicinando a esse.

Secondo una ricerca presentata nel corso dell’evento “Il futuro del web3 e del metaverso” – organizzato dal consorzio Web3 Alliance, la cui missione è fare chiarezza e divulgazione su questi temi –, il 64% delle aziende sta studiando il metaverso, il 7% ha già lanciato un progetto pilota e il 3% ne sta già oggi facendo un “ampio utilizzo”, mentre l’1% ne fa solo un “utilizzo selettivo”. Nel complesso, solo un quarto delle aziende italiane, stando ai dati riportati in questa ricerca, non sta in alcun modo integrando, o almeno indagando, le potenzialità del metaverso per le imprese.

Al diffuso desiderio di sfruttarne le potenzialità, si accosta una conoscenza dichiarata della tecnologia in questione abbastanza elevata: nessuno degli interpellati afferma di non aver mai sentito parlare del metaverso, mentre solo il 13% di averlo “sentito nominare”, ma senza sapere di che si tratti. Il 54% ritiene invece di avere una conoscenza limitata, il 30% di possedere una “buona conoscenza” e il 3% di essere addirittura un “conoscitore e utente”.

Come vogliono però utilizzarlo, questo metaverso, le imprese italiane? Tra chi ha già investito e chi prevede di farlo al massimo entro tre anni, i settori che ottengono la maggiore attenzione sono, prevedibilmente, gli “eventi digitali” (un buon esempio può essere la Fashion Week che si è tenuta su Decentraland o il concerto di Travis Scott su Fortnite), seguito dal “posizionamento”, dalle potenzialità in termini di smart working (su cui punta soprattutto Meta) e sulla creazione di prodotti digitali ad hoc o di NFT.

Sempre per gli imprenditori italiani, le tecnologie più utilizzate in azienda per abilitare il web3 sono: intelligenza artificiale (72% di utilizzo, tra chi già la impiega e chi invece la sta solo sperimentando o studiando), realtà aumentata (60%), realtà virtuale (57%), blockchain (58%) e infine NFT (che prevedono di essere impiegati soltanto dal 46% degli interpellati).

E già qui la faccenda si complica: che cosa c’entra l’intelligenza artificiale con il web3 (che, come detto, è un termine che riunisce i servizi online basati su blockchain)? E perché vengono inserite sotto questo ombrello anche tecnologie come la realtà virtuale o aumentata, che con esse si sovrappongono solo in minima parte? È davvero credibile che il 30% degli imprenditori sappia che cosa s’intende con “metaverso”, quando anche tra gli addetti ai lavori c’è pochissimo consenso su cosa questo termine (e quello di “web3”) indichi?

“Dalla ricerca vediamo come ci sono poche idee e confuse”, ha spiegato proprio nel corso dell’evento Lucio Lamberti, responsabile del Metaverse Marketing Lab al Politecnico di Milano. “Ed è un peccato, perché questo mercato esiste realmente: nel 2021 sono stati spesi 54 miliardi di dollari nell’acquisto di avatar”. Soldi spesi soprattutto nel mondo del gaming (per esempio in Fortnite, dove l’80% degli utenti ha fatto almeno un acquisto), in piattaforme che permettono a chiunque di creare giochi (come Roblox) o in social network immersivi come il coreano Zepeto (20 milioni di utenti mensili).

Se si esce però dal campo dell’intrattenimento, quali sono le opportunità del metaverso per le aziende? “Il problema, tra le altre cose, è che non si sa bene quali siano i problemi che la soluzione del metaverso risolve. Già parlare, come spesso si fa, di ‘metaversi’ al plurale non ha senso: o è uno solo e interoperabile oppure non esiste”, ha spiegato sempre Lamberti, facendo riferimento alla necessità di creare un unico ambiente, all’interno del quale possono partecipare svariati attori e dove gli utenti si muovono liberamente.

Lo stesso scetticismo viene sollevato anche da Andrea De Micheli, vicepresidente di Web3 Alliance e amministratore delegato del Castadiva Group: “Negli ambienti del metaverso ho visto imitazioni della vita quotidiana che fanno ridere. Penso anch'io che possa essere una soluzione a problemi che non ci sono e che ci si esponga al rischio di fallimenti, come quelli a cui sono andati incontro in passato il cinema 3D e gli ologrammi”.

Affinché metaverso e web3 - che assieme alla realtà aumentata potrebbero rappresentare il futuro del digitale - giungano a maturazione e si diffondano, è però prima di tutto necessario capire che cosa siano. Per quanto i confini siano ancora sfumati, con il termine metaverso si fa riferimento ad ambienti digitali e immersivi (non necessariamente in realtà virtuale) all’interno dei quali socializzare, lavorare o partecipare a eventi. Il web3 indica invece, come già accennato, la possibilità di sfruttare blockchain e criptovalute per offrire servizi online a cui gli utenti possono partecipare automaticamente anche dal punto di vista economico e della governance. Due innovazioni quindi molto diverse e che si sovrappongono solo parzialmente, per esempio in due realtà che le sfruttano entrambe: Decentraland o The Sandbox.

Non tutti, però, la vedono così: “Il web3 è un nuovo web tridimensionale e interattivo che coinvolge le persone in maniera così immersiva da renderla una cosa emotivamente nuova”, spiega Elena Schiaffino, presidente di Web3 Alliance. “Nel caso della realtà aumentata, se col telefonino inquadro un’opera d’arte facendo così comparire la spiegazione testuale o altri video e contenuti, io sto parlando di un nuovo web che mi arriva direttamente al cuore”.

Una visione molto diversa da quella canonica – e in cui il “3” di web3 non sembra più indicare la terza versione della rete, bensì la tridimensionalità – ma che ha il merito di sottolineare la possibile convergenza con il metaverso: “Ci sono continue sovrapposizioni che, secondo me, dobbiamo prendere in considerazione nella loro interezza, se vogliamo provare a capire il futuro”.

In una fase di espansione e in cui i contorni che delimitano queste nuove tecnologie sono ancora inevitabilmente sfumati, è legittimo che le definizioni cambino e si evolvano. Forse, però, prima di proseguire lungo la strada che porta verso la possibile adozione di massa del metaverso e del web3, è giunto il momento di mettersi d’accordo su cosa questi termini significhino.