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Matteo Paolo Clemente, Operations Engineer del Robotic Exploration, si occupa del rover nell’MTS (Mars Terrain Simulator) di Torino
Matteo Paolo Clemente, Operations Engineer del Robotic Exploration, si occupa del rover nell’MTS (Mars Terrain Simulator) di Torino 

Marte, periferia di Torino

Nei capannoni di Altec, centro di eccellenza per la ricerca e l’esplorazione dello Spazio, hanno ricostruito la superficie del Pianeta Rosso, per simulare le operazioni dei rover. E presto faranno lo stesso con la Luna

6 minuti di lettura

Questo articolo è tratto dallo speciale di Italian Tech in edicola dal 4 maggio con Repubblica, dedicato ai centri di ricerca ed eccellenza in Italia
Tutte le immagini sono di Matteo Capone/Contrasto.

Torino è stata a lungo la capitale italiana dell'aeronautica: dal campo volo di Collegno, appena fuori dal perimetro comunale, partivano un secolo fa aerei, elicotteri, macchine volanti. Qui, a fine novembre, si apriranno i cantieri per la Città dell’Aerospazio, un progetto che punta a coordinare e riunire gli sforzi di 300 imprese grandi e piccole, del Politecnico di Torino e delle tante startup che stanno nascendo nel settore. Sono previsti un museo, aule per almeno 700 studenti e un parco tutto nuovo. 

Dove finisce corso Marche oggi c’è un fabbricato giallo dismesso, tra capannoni ed edifici dalle proporzioni inconsuete. E c’è la sede centrale di Altec, centro di eccellenza italiano per la fornitura di servizi di ingegneria e logistica a supporto della Stazione Spaziale Internazionale e dello sviluppo e realizzazione di missioni di esplorazione planetaria. 

“Qui lavorano circa ottanta persone, una decina sono a Colonia, con attività presso Esa e Dlr, e abbiamo un ufficio di collegamento alla Nasa”, dice Vincenzo Giorgio. Napoletano, 65 anni, laureato in ingegneria elettronica alla Federico II, è amministratore delegato della Aerospace Logistics Technology Engineering Company. "Ci occupiamo della manutenzione preventiva della Stazione Spaziale Internazionale: controlliamo il corretto funzionamento dei moduli di nostra competenza. Conoscendo i tempi di vita media di tutti gli equipaggiamenti, e sapendo quanto materiale hanno a disposizione sulla stazione spaziale, facciamo in modo di avere quello che serve nei nostri magazzini a Torino e gestiamo il trasporto in orbita”, spiega.

Dal soffitto dell’ingresso di Altec pende una riproduzione in scala della International Space Station: nella realtà misura 73 metri per 109, quanto un campo da calcio, e pesa 450 tonnellate. Per avere idea di quanto sia grande bisogna cercare la figurina di un astronauta, vicino al modulo che chiamano la Cupola, perché su una volta semicircolare ha delle finestre che permettono di guardare fuori, dove in 24 ore si susseguono 16 albe e altrettanti tramonti. La Cupola è una delle componenti realizzate in Italia, tra i pochi Paesi al mondo in grado di costruire moduli spaziali, e italiano è oltre il 40 per cento del volume abitabile sulla Stazione Spaziale Internazionale. “Il nostro impegno in termini di investimenti di persone, denaro, risorse, è costante e di lunga data, e oggi siamo in grado di offrire alla Nasa un servizio end-to-end che comprende la costruzione dei moduli, la manutenzione e l'addestramento del personale”, precisa Giorgio. Si spiega così la presenza rilevante di Altec nelle missioni spaziali americane, ma anche il fatto che l'Italia sia tra i primi firmatari in Europa degli Artemis Accords, patti bilaterali con gli Usa che stabiliscono alcuni principi fondamentali per le prossime esplorazioni spaziali  

“L'ISS verrà dismessa intorno al 2030, è già andata molto oltre il previsto. Stiamo lavorando perché quelle attività di logistica, di training degli astronauti e di operazioni vere e proprie possiamo farle sulla stazione orbitale intorno alla Luna. Ma anche sulla superficie, come previsto appunto da Artemis: per conto dell'Agenzia Spaziale Italiana costruiremo un centro di operazioni lunari a Torino”. Dove esiste già un centro in grado di simulare Marte, in un capannone di 20 metri per 15, con 150 tonnellate di pozzolana del Vesuvio, 28 lampade speciali e una gru. La superficie è irregolare, e delle rampe regolabili permettono di simulare salite e discese con varie pendenze; c’è poi uno spazio per testare le operazioni di scavo per raccogliere i campioni di suolo da analizzare. Dal centro di controllo una grande vetrata e delle telecamere permettono di controllare a vista i movimenti del rover Rosalind Franklin: non quello vero, ma uno dei due gemelli che si trovano in Altec. La missione verso Marte, pianificata per il 2022, prevedeva l'utilizzo di un vettore Proton per il lancio e della piattaforma di atterraggio Kazachok; dopo l'invasione dell'Ucraina è stata sospesa la collaborazione tra l'agenzia spaziale europea e quella russa e ora si sta lavorando per trovare soluzioni alternative. ExoMars dovrebbe ripartire nel 2028; intanto, il ROCC (Centro di controllo delle operazioni Rover) e il SOC (Centro Operativo Scientifico) sono pronti e serviranno da punto di partenza per costruire un pezzetto di Luna a Torino. I problemi sono diversi: “Rispetto a Marte, la gravità è molto più bassa e la luce cambia perché non c'è atmosfera. Inoltre il suolo è una regolite estremamente sottile, quindi far muovere un mezzo sulla superficie lunare è assai più difficile. Ma penso che entro un paio di anni il centro di controllo per la Luna potrebbe essere terminato”, rivela Giorgio. 

Marte, la Luna, e poi? “Abbiamo un centro di elaborazione per i dati del satellite Gaia che misura la posizione relativa delle galassie e delle stelle, gestiamo un coronografo su un altro satellite che studia il sole. A giugno verrà lanciato il satellite Euclid per studiare la materia e l'energia oscura, ossia la gran parte dell'universo che non conosciamo. La quantità di dati che arriveranno sarà di svariati ordini di grandezza più grande rispetto a quelle che abbiamo trattato finora, e per l'elaborazione ricorreremo anche all’intelligenza artificiale”.  Altec ha il compito di ricevere i dati, trasformarli in un modo che siano utilizzabili dalla comunità scientifica e conservarli in condizioni di sicurezza. Per questo collabora con le facoltà di ingegneria, i politecnici, gli istituti di fisica di varie università italiane, ma anche con l'osservatorio astronomico di Torino, l’Istituto nazionale di astrofisica e altri centri di ricerca, in Italia e all’estero. 

In più nella sede di Colonia, Altec addestra chi va nello spazio, perché sia pronto a interventi di manutenzione ordinaria o manovre di emergenza nel caso di imprevisti. Non sono solo astronauti, ma anche turisti spaziali, che di solito non rimangono in orbita più di 15 giorni. “Sono stati annunciati ben quattro progetti americani per stazioni private in bassa orbita - spiega Giorgio - e anche se non credo che verranno realizzati tutti, è certo che un mercato esiste. A breve partiranno due turisti spaziali dell’Arabia Saudita i che abbiamo addestrato noi”. 

Nata nell’aprile del 2003, l’azienda torinese ha per soci Thales Alenia Space (con il 63,75%) e Agenzia Spaziale Italiana (36,25%). “Ma sul mercato siamo come qualsiasi altra società privata; partecipiamo alle gare e a volte vinciamo, altre no. La differenza sta nel fatto che le nostre strutture sono a disposizione della comunità scientifica e tecnologica italiana”, aggiunge Giorgio. 

Il modello di business dello spazio è molto cambiato negli ultimi dieci anni, con aziende private che hanno preso il posto di strutture nazionali o sovranazionali: con i loro lanciatori, Elon Musk e Jeff Bezos di fatto operano in una sfera che è pubblica, come fa Thales Alenia Space. Ma l’apporto più rilevante dei privati nel settore aerospaziale è quello che potremmo definire creativo: inventare nuovi modelli di business. “È uno stimolo importante per tutta l’Europa, che tradizionalmente ha un approccio molto istituzionale”, sottolinea l’ad di Altec.    

A Torino il comparto aerospaziale conta oggi oltre 20mila addetti, ma la Space Economy è in crescita stratosferica, anche grazie ai 7,2 miliardi che l'Italia ha stanziato fino al 2026. Ne beneficiano aziende coinvolte direttamente e indirettamente, e altre che sembrano lontanissime, ad esempio case farmaceutiche, industria avanzata, colossi dell’auto. Nello spazio è possibile studiare in maniera approfondita malattie come l’osteoporosi, misurare gli effetti del decadimento muscolare, della pressione sanguigna o dell’alterazione della frequenza cardiaca per trovare cure a patologie sempre più frequenti. Alcune tecnologie sviluppate per un ambiente ostile possono essere utilizzate per la produzione ordinaria. “Pensiamo alle missioni più lunghe, quelle su Marte ad esempio, per cui servono almeno tre anni tra andata e ritorno: poniamo che un astronauta abbia un mal di denti, e che l’unica soluzione sia l’estrazione. Sulla navicella difficilmente si troverà lo strumento adatto, ma sarà possibile costruirlo in loco inviando un file a una stampante 3D. Bene, una cosa del genere si potrà fare anche sulla Terra, in zone difficilmente accessibili”, osserva Giorgio. Oppure consideriamo l’acqua: oggi sulla ISS viene riciclata al 95 per cento, ma la tecnologia per farlo è molto costosa; un giorno, quando sarà più facile realizzarla, potrà risolvere o almeno diminuire il problema della siccità in tante zone del mondo. 

Questo significa avere una visione di lungo termine, e Giorgio ce l’ha: “Lo scorso anno, con la missione Dart, un missile Nasa ha colpito un asteroide; gli effetti dell’impatto saranno studiati nel dettaglio da Hera, un’altra sonda, stavolta europea. Se un domani veramente un asteroide dovesse mettere a repentaglio la vita terrestre, da quella missione potrebbe arrivare una soluzione. Chi ha lavorato a quel progetto lo ha fatto con la consapevolezza di impegnarsi per il bene dell’umanità: è un esempio di come la ricerca spaziale sia un percorso continuo e costante: devo portare a termine quello che sto facendo, ma se non arrivo a un risultato, ci arriverà qualcuno dopo di me, grazie al lavoro mio e di tanti altri”. 

Nei corridoi di Altec l’atmosfera è rilassata, i giovani sono parecchi, però c’è anche chi ci lavora da trent’anni e sa tutto di missioni spaziali oggi quasi dimenticate. Ma non c’è il rischio che la cronica instabilità politica possa influire sull’attività di un’azienda così strategica per l’Italia? “La sensibilità delle istituzioni italiane è altissima, indipendentemente dai governi. E infatti i contratti italiani per le attività spaziali previsti dal Pnrr sono già stati firmati. Ma dopo dovremo essere capaci di andare avanti da soli, continuare ad avere una visione e trovare il modo di realizzarla, perché nel nostro settore se non sei sempre in prima linea rischi di ritrovarti dieci passi indietro”, risponde l’ad. 

Così la prossima sfida non è domani, ma già oggi: “Non posso non immaginare che un giorno saremo in grado di abitare altri mondi, come Marte. Certo, prima bisognerà creare un campo magnetico, un’atmosfera che ci protegga dalle radiazioni e controlli la temperatura, bisognerebbe indurre un effetto serra per far tornare l'acqua in forma liquida. È un processo che chiamiamo terraforming, ed è molto complesso. Oppure potremmo trovare in altri sistemi solari dei pianeti che hanno caratteristiche simili alla Terra, e allora il problema sarebbe arrivarci. Stiamo facendo degli studi nel campo dell’ibernazione, l'Università di Bologna è un centro di eccellenza pura dal punto di vista scientifico. Stiamo lavorando anche sullo sfruttamento delle onde gravitazionali: modificando il contesto spazio-temporale si potrebbe arrivare dal punto A al punto B non più con i limiti dettati da Einstein, ma in tempi molto inferiori. Succederà fra dieci, cento o duecento anni? Non lo so, so che dobbiamo prepararci”.